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CORRADO CALABRO'

 

 

 I LUMI DEL SECOLO

 

OK! Secondo te sono svitato
come una lampadina.
Ma tu lo sai cos’è una lampadina?

Una lampadina è un terminale
è la prova lampante
della presenza di Dio nell’universo.

Ogni tanto Dio accende un’altra stella
così, senza un motivo apparente.
La sera poi accende tante lampadine;
e questo lo fa a ragion veduta.

«Tante quante?»
Tante quante le stelle, esattamente.
Per ogni stella in cielo qua s’accende
la corrispondente lampadina.

Nemmeno Dio però la potrà accendere
se non la troverà ben avvitata
nella sua appropriata impanatura.

Dio infatti fornisce la corrente.
Non fa mica, per noi, l’elettricista.


SE MAI UN GIORNO MORRO’


Se mai un giorno morrò,
accadrà di domenica.

E in quel caso e in quel giorno
sarò io stesso a morire.

Se non l’ho fatto fin oggi
è stato per vari incombenti.

M’è toccato farmi sostituire
da parenti, amici, conoscenti.

Se mai un giorno morrò,
vedrete, avverrà di domenica.


DEI CADUTI A NASSIRYA


Dei caduti a Nassirya
l’umanità è la patria
la pace il messaggio tradito
la fiducia nell’altro la vittima.

e il ricordo – ad antenna ammainata –
è una duna di sabbia nel vento
cui passano accanto i cammelli
a testa alta.


HANNO MURATO…


Hanno murato un colombo nel torrione
facendo i restauri.

In corridori anulari ho misurato
le stanze chiuse delle mie abitudini.

Uno sbattere d’ali soffocato
lungo lo spessore del muro
-intorno, in tondo –
al primo schiarire del giorno.


A TARGHE ALTERNE


Diafani vetri denudano l’alba.

Lava la pioggia,
intrepida di grandine,
il malumore stantio della notte.

Rallenterò il respiro:
basterebbe un fiato
per appannare la grande vetrata.

Ma quanto cresce di notte la barba!

No, non è colpa tua.
La vita è ingiusta;
come le targhe alterne.


COPPE CARNOSE DI CAMELIE


La luna rimasta accesa
tutta la notte e oltre
ha tacitamente raccolto
sotto il suo paralume la famiglia.

La famiglia: io, tu; tu, forse io,
la casa col giardino e la terrazza…

Si slarga cerea dappertutto l’alba
e ci estrania l’un l’altro.
Il nostro amore un tempo
passava come un cassino sul mondo.

Trent’anni, oggi, che siamo in questa casa;
trent’anni, quanti ne hanno il cedro qui
e l’ultimo dei nostri figli altrove.

Su braccia anchilosate
le foglie degli aranci nel patio
cercano di riassorbire la ruggine.

Lungo gli archi scrostati del portico
mani grinzose attorniano sgomente
corolle colme e carnose di camelie.


IL TEMPO DELLE ROSE


Lascia un sapore di mandorle in bocca
Il vino color perla di Sibari.

Humilemque vidimus Italiam
venendo dalla Grecia, quella piccola…

Muovevano a passo di danza
al suono dei flauti i cavalli.

Roteando, un falco
coglie in un colpo d’occhio entrambi i mari.

Umili i muli li hanno avvicinati.
Oggi, non anfore d’olio né incenso
Né sacchi di grano né ambra
portano a passo affrettato sul dorso,
ma cofane di rose da Roseto.

Ne faranno ghirlande per banchetti
e corone per ebbri commensali.
Petali volteggianti dal soffitto,
petali in infusi e in gonfietti
per i mortali assimilati ai numi
nel beato far niente dei ricchi.

Incoronati di rose i cavalli,
ebbri di musica entravano in battaglia.

Pure, come morso di serpente
è a volte la puntura d’una rosa:
scalciano i muli stretti in mezzo ai cesti,
succhiano i mulattieri la goccia
di sangue che affiora sulle dita.

Quanto lavoro per scontare l’ozio!
Humilemque vidimus Americam
venendo dalla Grecia, quella grande.

Puntute come spini le nocche
della vecchie che sgranano il rosario
delle quindici poste dell’attesa
del tempo di quand’erano ragazze.

Nessuno sparge di petali la testa
nella terra dei vecchi e dei bambini.
Di quelle rose restano le spine.
ed un sapore violamaro in bocca.