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ENZA CANTELLI, di GIOMBATTISTA CORALLO

 

 

 

 

 

 

 

Enza Cantelli si muove nell’ambito del “segno”.  Una grafia caratterizzata da un movimento continuo in cui tutti gli elementi si collocano con naturalezza al loro posto determinando così un equilibrio a cui la sua pittura tende senza forzature. La composizione, infatti, risulta ben organizzata e non risente minimamente dei problemi di parti vuote che potrebbero contrastare negativamente con le parti piene ma tutto si risolve nell’affermazione di un rapporto tra i vari registri che l’artista riesce straordinariamente a dominare.
I numerosi segni che si sviluppano liberamente sulla superficie che li ospita e che a stento, talvolta, vengono contenuti dai limiti dello spazio disponibile, avvolgenti o alternati a punti, sono il significante di contenuti che vengono così veicolati e portati alla fruizione di un pubblico smaliziato che per la sua specifica preparazione può, meglio di altri, afferrare e non lasciare il suo giudizio esclusivamente improntato all’accettazione di un insieme pittorico ben strutturato.
Il colore, che è quasi monocromo, interessa quasi sempre il solo sfondo su cui campeggiano con determinazione le “scritture”; altre volte con una macchia accompagna il segno sottolineandone cromaticamente l’andamento e il suo sviluppo nella configurazione del tracciato più congeniale all’espressione di un significato.
E non si fa un torto alla Cantelli se per aiutarci a inquadrare meglio il suo modo di fare pittura, si prova a formulare un tentativo di collocazione (che non sempre è un’operazione corretta) della sua opera  nell’ambito di un movimento che nella pittura del Novecento ha avuto il merito di rompere definitivamente con la tradizione. Non è difficile capire che l’accostamento che si vuole qui fare è alla pittura “gestuale” che, per certi aspetti, poi, rientra nella più ampia pagina della “pittura di segno” e, in particolare, un esplicito riferimento a Jackson Pollock.
Rappresentante della “Action painting” (pittura d’azione) insieme a De Kooning e a Kline, l’artista americano, negli anni del secondo dopoguerra, sviluppa un genere di pittura particolarmente violenta fatta di segni incontrollati e di sgocciolature (tecnica del dripping) sulla tela posta orizzontalmente per ottenere un risultato immediato senza interposizioni di sorta tra lui e il quadro intorno al quale il pittore è libero di girare per sentirsi, come lui stesso diceva, “dentro il quadro”. Solo a conclusione dell’opera la tela veniva fissata al tradizionale telaio.
La libertà di Pollock è assoluta; lo stesso segno, per questo, assume connotazioni e aspetti diversi e non viene riportato dall’artista all’interno di standard stabiliti: “…Pollock non giunge alla costituzione di un suo segno che riesca ad emblematizzarsi ed a perdurare costante. E’ invece tutto quanto il dipinto, con la sua rete folta e aggrovigliata di macchie e di ghirigori a costituire l’impronta della sua personalità.” (Gillo Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi).
Mancano, quindi, nell’opera di Enza Cantelli le tensioni tipiche della drammatica visione del mondo che è alla base della pittura dell’artista statunitense autorevole rappresentante di quell’ “Espressionismo astratto”  che ha fatto piazza pulita dell’“immagine” alla cui operazione rivoluzionaria concorse anche la conoscenza di un genere d’arte della tradizione degli indiani Navaho nel Nuovo Messico che Pollock aveva ben conosciuto, pittogrammi eseguiti sulla terra facendo pian piano cadere dalle mani sabbie colorate fino a creare tracciati lineari cromatici, a scopo rituale, al tramonto, con i quali, quella popolazione di nativi, comunicava il suo bisogno di spiritualità.
La pittura dell’artista ragusana, invece, con i suoi segni controllati, il ritmo fatto di suoni e pause che sembrano comporre una pagina musicale, esprime quasi l’intervento puntuale degli strumenti di una orchestra il cui sviluppo evolve in una originale partitura che riporta la sua esperienza a quella che Georges Mathieu definì “Abstraction Lyrique” (Astrazione lirica), una sorta di astrattismo libero da ogni schema predefinito, non geometrico e non costruttivista, una libertà intelligente sapientemente contenuta.
                                                                                                           


    Giombattista Corallo