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ALFREDO ENTITA': Un “esplosivo” Seicento Veneto nella chiesa di S. Francesco a Udine

 

 

UNA SPLENDIDA RASSEGNA ORDINATA DA ALDO RIZZI

 

La città friulana sta conducendo da qualche tempo a questa parte una crociata di riscoperte e revisioni che porteranno ad un radicale mutamento di valutazioni della pittura veneta secentesca e settecentesca.

 

 

     Sotto la dinamica regìa di uno degli studiosi più eminenti della pittura veneta, Aldo Rizzi, sta  riscuotendo clamoroso successo, nella trecentesca chiesa di S. Francesco ad Udine, dove è stata inaugurata dal Ministro della P.I. la più complessa rassegna del Seicento Veneto, con particolare riferimento al Friuli. La città di Udine, da qualche tempo a questa parte, sta conducendo una crociata di riscoperte e revisioni che porteranno ad un radicale mutamento di valutazioni nella pittura veneta del Sei e Settecento. Le sue valide manifestazioni si alternano infatti a quelle d’Arte antica organizzate dal Comune di Venezia in alternativa con le polemiche mostre d’arte contemporanea, le Biennali Veneziane, le più antiche ed autorevoli rassegne d’arte contemporanea del mondo.

     Dopo le Biennali dedicate a Nicola Grassi, al Mombelli e al Carneo, alla mostra della pittura veneta del Settecento in Friuli, e all’attuale Pittura Veneta del Seicento, sarà la volta, tra due anni ancora, di una delle più clamorose rassegne di tutto il globo, destinata a far convergere verso Udine l’attenzione e l’interesse mondiali costituiti da folle di visitatori e studiosi d’ogni continente: tutta la pittura del più grande affrescatore e decoratore di tutto il Settecento italiano e straniero: Giambattista Tiepolo. Ma, mentre è in cantiere tanta manifestazione, si annuncia già il Carlevarijs, pel 1972.

     Non c’è dunque avvenimento d’arte, oggi, se si fa eccezione per la città di Bologna col suo carraccesco Guercino per quest’anno, che avanzi Udine negli anni alterni all’operosa e ben più antica attività storico-artistica della città di Venezia, da dove lo Zampetti, con eccezionale fattività, è riuscito a stimolare e smuovere l’interesse un po’ di molti centri italiani oggi tutti intenti a proporre e riproporre autori e periodi dell’arte italiana del passato non sufficientemente conosciuta studiata e vagliata.

     L’attuale rassegna udinese ha il grande merito di svelare per la prima volta al gran pubblico degli studiosi, artisti passati inosservati, riproponendo problemi di estetica del tanto calunniato ed obliato Seicento pittorico e letterario, da fare ricredere molti studiosi e valutare e rivalutare periodi e autori dell’arte e della nostra letteratura giudicati un po’ troppo frettolosamente e liquidati spesso con eccessiva leggerezza e facile aggettivazione.

     Tanti tesori d’arte comunque, non potevano rimanere ignorati e non messere presentati in un ambiente più qualificato quale è la trecentesca chiesa di s. Francesco ad Udine, dove frammenti di affreschi coevi offrono un doppio godimento e consentono al contempo di mettere a confronto la vitalità di due estetiche che, inquadrate nel loro tempo, mostrano tutta la coerente e sobria proliferazione di pensiero e di immaginativa ai fini dell’arte figurativa o visiva, come più propriamente suol definirsi oggi.

     Non è stata facile fatica per gli allestitori udinesi  selezionare e riunire qui tante opere da riproporre al vaglio della critica e della folla di visitatori convenuti da ogni parte del mondo; l’esercito di competenti e studiosi, restauratori e schedatori, guidato dalla febbrile attività del Rizzi, ha reso un servizio quanto mai utile ed incalcolabile alla cultura e all’arte e alla rivalutazione e conservazione di opere e nomi di tutto un periodo davvero eccezionale, specie se si pensa che oggi, volenti o nolenti, studiosi e trattatisti, se vorranno darci un aggiornato quadro del Seicento pittorico italiano, dovranno obbligatoriamente passare attraverso la immane fatica portata in cantiere dalla febbrile attività del Rizzi e dalla munifica e mecenatesca crociata culturale promossa dal Comune e pubblici Enti dell’Udinese, compresa l’attiva regione del Friuli, i cui rappresentanti di governo si sono mostrati animati da tale carica di entusiasmo e di emotiva consapevole collaborazione da sfociare nei risultati odierni, esaltati indiscriminatamente da tutta la stampa italiana ed estera, convinti di rendere un grande servizio alla cultura.

 

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Ma chi sono questi pittori che nel Seicento operarono in Friuli e che meritano oggi tanta attenzione e sì tanto interesse, al punto da figurare in una tanta rassegna e suscitare un sì largo coro di consensi e una sì larga partecipazione di studiosi italiani e stranieri? Noti alcuni ai più, oltre che per studi destinati ad interessare una strettissima cerchia di specialisti o filologi, altri restano quasi completamente ignorati alla cultura manualistica più corrente, scolastica e divulgativa, per mancanza di indagine filologica che per effettivi valori, essendo la letteratura artistica, nonostante i giganteschi passi compiuti in questi ultimi tempi, ancora in pieno fervore di indagini e di scoperte, per mancanza di una precedente letteratura e profonda esegesi.

     Così se non possono dirsi ignorati alla cultura specialistica i nomi del romano D. Fetti e del napoletano L. Giordano, di G. Heintz il Giovane  di Augusta e G. Heiss di Memminger, del vicentino F. Maffei e del fiorentino S. Mazzoni, di F. Mola di Coldrerio e del veneziano A. Molinari, di A. Vorotari detto il Padovanino e del Negretti detto Iacopo Palma il Giovane ( veneziano ), di F. Pittoni veneziano e del Bellunese S. Ricci, del genovese B. Strozzi e del veronese Maffeo e A. Vicentino da Venezia, non può certo dirsi siano altrettanto noti il veronese A. Balestra e il veneziano N. Bambini, l’udinese S. Mombello ed Antonio Carneo, i veneziani G. Carpione e A. Celesti, i lucchesi G. Coli e F. Gherardi operanti in Friuli, l’udinese G. Cosattini e P. Damiani nativo della patria del Barbarelli, J. Ficher di Augusta, il milanese T. Fermenti, il genovese G. B. Lancetti e il veneziano D. Lazzaroni, i padovani M. e P. Liberi e P. Paoletti, il veneziano S. Pendana, il dalmata M. Ponzone, e il lainese G. Quaglia, e così il fiammingo N. Rainieri  e il lucchese P. Ricchi, il genovese F. Rosa e il romano F. Ruschi, il veneziano F. Secala (vera rivelazione per il suo tempo per il nudo allegorico) e il Muttone detto P. della Vecchia da Venezia, la cui scelta o rigorosa selezione di opere ha consentito l’allestimento di una mostra di recuperi e rivalutazioni nella quasi totalità destinati ad inserirsi in quel filone delle recenti scoperte ed a far storia meglio illuminando e chiarendo il corso della pittura italiana del tempo.

 

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     Non è questa le sede per un ampio e approfondito esame delle opere, a causa soprattutto dello spazio limitato. Esame che è nostro intendimento e vivo interesse condurre per chiarire argomenti per noi non sufficientemente approfonditi ed esauriti nel loro tessuto connettivo, nella loro trama di estetica del tempo e di possibili aperture a successive evoluzioni.

     A noi pare invece sia questo il luogo ed il momento quanto mai opportuni di concludere il nostro breve annuncio con quanto il Rizzi, curatore del bel catalogo a carattere monografico, dice a sugello di esso: «Quali sono le prime risultanze, sul piano critico, di questa Mostra? Mi sembra che essa confermi appieno l’orientamento della moderna storiografia, impegnata a scalzare il mito di un Seicento accademico, ritardatario e cupo, e volta alla ricerca dei filoni sani, di quei lieviti che saranno manipolati dai protagonisti del secolo successivo; i quali discendono in particolare dalla tradizione cinquecentesca, dominata dall’esempio del classicismo cromatico del Veronese e del manierismo furioso del Tintoretto, limitando perciò l’apporto dei “forestieri” Fetti, Liss Strozzi e Renieri e dei Napoletani. Infatti, già nel Seicento, si possono individuare eloquenti episodi di “chiarismo” pittorico e di patetismo drammatico, maturati appunto sulla spinta di coefficienti estetici ambientali».

     Ben vengano – diciamo noi – queste rassegne  chiarificatrici, e siano di esempio e di sprone all’indifferenza e all’abulia che caratterizza tante e tante regioni e città ricche  di possibilità e soprattutto di autori e di opere dimenticate nel più squallido ed offensivo, deprimente abbandono; e, quel che più importante, di ritardato recupero, per potere ancora salvare e tramandare opere e nomi ad una più vigile, attenta e cosciente posterità.

 

                                                                                                                 Alfredo Entità

    

Giornale "La Sicilia" di Catania; martedì, 10 dicembre 1968