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CARMEN DE STASIO su STORIA DI CARDENIO di IGNAZIO APOLLONI

 

VIAGGIO SURREAL-ASTRATTO TRA LE PAGINE DI UNA STORIA FORSE VERA


Riflessione su
Storia di Cardenio
di
Ignazio Apolloni

Carmen De Stasio


Quando la mente viaggia, il tempo abbrevia le distanze con la dimensionalità. Si dilata, si espande e lascia che tutti i tempi convergano in un unico ambiente, che per economia linguistica definisco dinamismo immaginativo o immaginazione dinamica.
Diario di un viaggio che annulla la temporalità cronologica, inscritto in una dimensione di sogno, di fantasticherie, di nuvole di memoria e profonda conoscenza della letteratura di ogni tempo
- Non posso definire diversamente l’ultima – in ordine di tempo – creatura nata dalla meditazione di Ignazio Apolloni, un cultore delle immagini destrutturate e ricostruite secondo nuovi canoni, nuovi schemi che connotano di unicità una scrittura originale sempre rispetto a se stessa, rinnovata nelle pulsioni, nei cromatismi che indugiano ora con squarci veementi, talora disperdendosi in una penombra che mitiga l’impulso in favore di una riflessione sulle circostanze storiche e l’anti-ovvia capacità di decretare nuovi parametri nella strutturazione dei giochi della mente.
La base solida di una costruzione storica è l’orizzonte che l’autore stabilisce per dar corpo ad un volo che sa di ondeggiamenti all’interno di situazioni realistiche - se non proprio reali - e che sfrutta il manto di opportunità di disegnare prima di tutto nella propria silenziosa stanza della creatività la forma delle proprie riflessioni su quanto la storia in forma di cronaca ci riporta; poi fluttuare verso le immagini riflesse della vasta prospettica abilità di traslare in creazione quelle forme, che mai coincidono con artificiosità. Apolloni non si lascia deturpare dalla ruvidezza di una narrazione verosimigliante: egli vola fuori da sé e diviene sempre e sempre altro e altri.
Mi piace richiamare alla memoria l’allusione ad un autore a me molto caro del diciottesimo secolo inglese, Lawrence Sterne, anticipatore ad ampio respiro della scrittura cerebrale ed orfica dei periodi e delle tendenze nei secoli successivi. Di Sterne Apolloni possiede l’immediatezza, l’abilità di trasformare una narrazione diegetica e biografica in un incanto che ha il suono di una fiaba, la fascinazione di un mistero; che è meditazione su passaggi storici che decretano il nostro essere oggi, adesso, nel periodo medio e breve. Egli fotografa immagini esistite che manipola come un pittore surreal-astratto su una pagina che nel momento di commiato dalla fisicità dissipa altresì veli su una verità assoluta secondo quella sua identificativa dimensione: l’essere integrale e razionale in grado di emanare i movimenti dinamici e organizzati secondo una oscillazione costante in una folla di individui che vivono – forse – le cose, ma non sempre  sono in grado di generare una circolarità comunicazionale e interattiva con la conoscenza
Ciò che apprezzo in Apolloni, nella sua scrittura sorprendente e anti stupefacente, mai sobillante l’ordine individuale interno, è esattamente la capacità di manipolare percezioni, sincronizzate con gli spazi e gli ambienti vissuti in una condizione riluttante a deviare da sé e mai riconduce a qualcosa di ovvio, dunque noioso. In tal senso mi si conceda l’uso di una innovativa metafora, che è la commistione e la condensazione di tempi che si dilatano ed incontrano nei momenti successivi i tempi trascorsi, pur resi in tal senso nella loro universale contemporaneità.
Ignazio Apolloni scrive la Storia di Cardenio a partire da una notizia sconvolgente, ma piacevole per chi è attratto dalla costante novità che Shakespeare ha saputo instillare nella sua non lunghissima vita. Indicato come coesistenza letteraria di tanti scrittori in uno - e anche tante donne in uno - egli (o essi, che dir si voglia) ha saputo condensare il microcosmo con l’ampiezza di un universo, immenso per quante possibilità esistono per l’uomo di esprimersi. Quante, ancora oggi non sappiamo! Anche Albert Einstein, tra altre menti acute, avrebbe concordato sull’idea che l’uomo avesse a quel suo tempo sfruttato solo un terzo delle sue capacità. Apolloni concretizza queste opportunità, maturando una cornice che unisce strategicamente personaggi e situazioni distanti tra loro, ma uniformati secondo una prospettiva che è prerogativa di chi esercita lo sguardo lungo per scavare fino in fondo come atto unico di un lungometraggio esistenziale.
Ancora una volta parlo della capacità di sovvertire un ordine schematico, purista e placidamente tradizionalista, che evita di insinuarsi nei meandri dell’oltre per timore, sovente, di rischiarare verità minime ma necessarie per definire l’universalità dell’uomo pensante. L’individuo pensante è sempre sulla barca in rotta per nuovi porti, pertanto l’allusione al protagonista la cui nominabilità è preclusa fino alla fine del racconto, vale come metafora, come simbolo sintetico di un percorso che attrae fin dall’inizio, quando l’autore gioca a carte scoperte semplicemente con il lettore, al quale non lascia la possibilità di distrarsi dall’attendere oltre come piano di lettura; gli propone di  riflettere semplicemente mediante uno stile trasparente di suoni quotidiani e sussulti di pensiero, con i suoi voli all’interno della narrazione che vive e si nutre per vivacità di digressioni non solo linguistiche, meditative, temporali, con un uso straordinario (come extra-ordinario, anti ovvio, appunto) nel lasciare aperto un pertugio attraverso il quale il lettore acuto comprende che la narrazione in prima persona aliti oltre l’autore, il quale istilla nella sua soave e stuzzicante voce la dimensione di un altro. Forse in un altro tempo.
A voler attingere a manierati accademismi, potrei insinuare nel mio meditare l’idea della costruzione di una vera e propria mappa concettuale. Nel nostro caso potrei parlare di una mappa del tesoro da analizzare, intelligente metodo che tanto promette di giocare con la fantasia, elaborare proiezioni e teorie, formulare ipotesi tanto per mantenere l’esercizio della mente e andare a scomodare quella sorniona tranquillità che sa di pancia gonfia e poltrona dal velluto liso, nella quale lasciare sprofondare la capacità di intelligere. Insomma, di pensare.
Non ho bevuto d’un fiato il racconto. Ma come definirlo frettolosamente racconto? Meglio sarebbe elastico viaggio tra il qui e il tempo passato dal sedicesimo secolo in poi con una eleganza nei movimenti, con una soave armonia che mi fa pensare ad un danzatore al ritmo di una musica muta, impregnata delle distorsioni, i picchi di una riflessione secondo la percezione di chi sente la storia scorrere dentro le proprie vene.